sabato 17 ottobre 2015

UNA LEGGENDA CULINARIA







Il grande portone giubilare dell'alimentazione è prossimo a chiudere i battenti; ognuno resterà con le proprie impressioni, le personali critiche, gli accessi di entusiasmo. Forse, avremo nuovi dubbi: cambieremo i pranzi e le cene? Certo, continueremo a nutrirci. 
Nella caleidoscopica Italia del cibo avremo di che soddisfarci, oppure, più semplicemente, riscoprire costumi antichi, e antiche tradizioni di cucine fatte dei più misteriosi ma avvincenti miscugli: da qui sono passati tutti, o quasi.
A Teramo e provincia (in Abruzzo) al Primo di maggio si celebra il rigoglio primaverile con un piatto assai speciale, e particolare: le Virtù. Un'antica leggenda, ricostruita solo di recente sulla base di fogli sparsi, manoscritti e anonimi, narra l'origine di questo piatto unico. Ed ecco il racconto.

 

LE VIRTÙ 

 
A mia madre, maestra di Virtù
 
Tanti e tanti secoli fa, in un tempo così lontano che nessuno più ricorda, gli Dei si riunirono in solenne assemblea per eleggere - democraticamente - il re dei re, il Dio supremo, il governatore di tutte le terre, dei pianeti, delle acque e degli altri elementi. Non solo, il capo indiscusso avrebbe governato i destini degli uomini tutti: nascituri compresi. Il posto, come è comprensibile, ingolosiva i presenti, indistintamente. La discussione, all’inizio pacata, si era poi, chissà perché, incanalata verso un’accesa diatriba fino a risolversi in veri e propri insulti e improperi di ogni genere. Volarono parole grosse: grasso, senza senno, vagabondo;  addirittura qualcuno giura di aver udito con le proprie orecchie un Dio inveire contro un suo pari definendolo: ateo. E non era bastato! dalle parole si era passati alle vie di fatto: sonori ceffoni, strette alle orecchie, calci un po’ dappertutto. Il tenebroso spettacolo del Supremo Collegio agli occhi del mondo intero presagiva sciagure orripilanti, e la pace da tanti auspicata pareva veleggiare verso altre galassie, che, a dire di qualcuno (pare fosse un tale conosciuto per Santelmo), erano gestite da altre divinità, meno animose, meno sanguigne. Restando l’imitazione a specchio il peggior male della nostra progenie, analoghi tafferugli umani scoppiarono qui e lì, a macchia di leopardo, segno che la situazione sfuggiva di mano, e pesantemente. Saputa la qual cosa ecco che si alza il Dio della Curiosità con una brillante idea; dice: ognuno di noi prepari una pietanza che abbia come ingredienti le virtù del mondo, chi avrà preparato la pietanza più buona quello sarà il nostro re. Si mormora, qualcuno contesta. Il Dio delle Consuetudini obietta: perché mai un cuoco dovrebbe essere il nostro re? il Dio che tutti ci governa deve possedere la saggezza non l’arte di spadellare. L’altro con un sorriso compiaciuto di chi sa la risposta, gli fa: amicone mio, non è facile impresa rintracciare il maggior numero di virtù sparse dove nemmeno noi abbiamo contezza, tu forse dimentichi che per rendere più difficile la vita agli uomini le abbiamo nascoste sì tanto bene da non ricordarne i posti, ed ecco perciò che chi preparerà il piatto più buono vuol dire che quello avrà rintracciato più virtù, e tu m’insegni, aggiunse puntando il dito affusolato, che le virtù si rammostrano a chi le merita: quegli è il più virtuoso: quegli merita il sacro scranno. Tutti tacquero per poi applaudire, la proposta fu approvata: unanimità e una sola astensione.
Eppure la pace non tornò. La caccia alle virtù fu terribile e sanguinaria. Per mesi la terra messa sottosopra, sconquassata, invasa da Dei invasati alla ricerca di ciò che loro stessi avevano saggiamente nascosto. Poveretti! s’erano illusi - a quel tempo - di veder crescere le loro creature spontaneamente, tese alla virtù della vita senza le virtù! Aggiungeteci poi che questi Dei, singolari invero, erano convinti di aver occultato le virtù nei luoghi più inaccessibili, i più sperduti della terra, da cui un generale rovistamento di foreste sottoboschi grotte e fondali marini. All’uopo s’erano conclusi accordi bi e tri laterali dove ognuno c’avrebbe guadagnato qualcosa in caso di vittoria. I più maldestri andarono a cercare persino nelle viscere o nelle teste degli animali che, sventrati, spirarono senza nemmeno una parola d’addio, o di compassione. E fu un vero miracolo che fulmini e saette non si abbatterono sugli stessi uomini che in questa occasione non avrebbero nemmeno saputo a che santo votarsi, perdendo all’ultimo il conforto della religione.
Dopo la caccia iniziarono le prove culinarie.
Pentoloni giganti presero a bollire, incredibili miscugli di sgradevoli olezzi e fumi nauseabondi s’ersero tutt’intorno alla terra come una nube, tanto fitta da oscurare la lucentezza del sole. Qualcuno azzardò che si era alla fine del mondo ad opera della stessa mano che l’aveva creato: pianti a dirotto si levarono, supplicando, se doveva esserci, una morte rapida e indolore.
Il giorno statuito per la gara l’umanità tirò un grosso sospiro di sollievo, un unico sbruffo potente che alleggerì appena la malsana cappa; presto avrebbero avuto il nuovo Dio supremo, di tutti padrone. S’apprestò nel salone delle feste il gran tavolo circolare, e arrivarono, scortate, zuppiere colme di bontà fumose, piatti di carne sanguinolenta conditi con santa pazienza, spiedi infilati in galline ripiene di elevata saggezza, brocche di vino distillato da rossa forza, e così via; ciascun Dio indicava l’ingrediente usato che a suo avviso tanto era buono da racchiudere in sé tutte le ricercate virtù, gli altri assaggiavano e giudicavano. Bevvero e mangiarono a sazietà per sette giorni e sette notti, ma, ahimè! la fumata fu nerissima. Ognuno rivendicava la vittoria e riprese l’indecente parapiglia, e tanto bastò a mettere all’erta che nessuna virtù era stata riconquistata, e le speranze dell’umanità languivano per la paura del seguito.
D’un tratto si sente bussare al grande portone dorato e qualcuno annunciò: ecce homo. Pensate come rimasero di stucco quegli onnipotenti! Come osa interrompere il sacro conclave, urlarono in coro, mandatelo via a calci nel culo. Sentiamo cosa vuole, no?, intervenne il Dio delle Relazioni Umane, caso mai ha in serbo utili consigli; buuuuu fecero gli altri; non ci costa niente, aggiunse il Dio del Tempo Perso (e questo era vero), fatelo entrare. E così fu.
Si presentarono un bifolco puzzolente di letame e rosso in viso dal tanto bere e la sua amatissima signora, capelli legati e grembiule ancora unto di cucina fresca; in due portavano un gran contenitore ancora fumante pieno fino all’orlo, e dopo un sudato issa lo sistemarono al centro del tavolo del conclave.
E questo cos’è?, chiesero gli Dei, rosi tra il fastidio e la curiosità morbosa.
Un po’ di pietanza, fece il cafone, sappiamo che siete tanto impegnati con le cose vostre sante e benedette, abbiamo pensato che ...;
E questa sbobba?, fece il Dio della Maleducazione.
Nel frattempo solerti valletti alati di già servivano piatti strapieni di quell’odoroso miscuglio.
Gli zotici si guardarono come a consultarsi, poi lei, la femmina di casa, arrossendo disse: non saprei dirle, l’ho inventato io, ci metto dentro tante di quelle cose, ci metto - e abbassò la voce - i rimasugli dell’inverno insieme alle cose nuove che nascono ora che siamo ai primi di maggio, lo sapete voi signori come va, dipende dalle stagioni, ci stanno quelle buone e quelle cattive, questa è stata buona grazieadio.
Dacci la ricetta, donna, tuonò il DIO della Prepotenza, mica possiamo mangiare senza sapere che c’hai messo.
Allora - rispose pronta la donna - ci ho messo: 
2 litri di olio o poco più
3 chili di legumi secchi (fagioli tondi, fagioli cannellini, fagioloni, ceci, lenticchie) da mettere a bagno 20 ore prima, i ceci 24 ore, le lenticchie direttamente nell’acqua bollente
3 chili di piselli
3 chili di fave
7 carciofi fritti
3 mazzetti di annita
2 chili di spinaci
2 chili di bietole
2 uova di pasta verde
2 uova di pasta normale
1 uovo di pasta rossa
½ uovo di pasta mista
2 etti di penne
2 etti di conchiglie
3 etti di orecchiette
1 chilo e ½ di polpette
1 osso di prosciutto da mettere a bagno 2 giorni prima
5 mazzetti di misericordia
e poi ancora (senza numerario - n.d.n.)
peperella, borraccia, battuto di carota sedano aglio cipolla, alloro nei legumi, limoni per pulire i carciofi, maggiorana prezzemolo. 
Tirò il fiato la brava donna, che l’emozione le aveva giocato un brutto scherzo e aveva parlato tutto d’un botto, paonazza in volto, le mani sudate e strette. Che brutta cosa la superiorità!
Gli Dei, buttati a capofitto nei piatti, ammutoliti, scucchiaiavano con poca eleganza presi da un ignoto ardore mangereccio; guardinghi verso i vicini commensali sempre pronti ad arraffare l’altrui, s’affrettavano per avere il bis.
La coppia si teneva per le mani, avvinte dalla paura: un solo errore sarebbe costata loro la faticosa vita, ma il silenzio faceva ben sperare. Stettero all’erta godendosi attimo dopo attimo l’unico suono che li rappacificava: quello dei cucchiai. Poi uno alla volta gli Dei parlarono: sputarono stupore e meraviglia: è vero ci sono i ceci, e anche i fagioli, e l’erbetta, e gli spinaci, e così via elencando. Li ignoravano bellamente ingurgitando mestoli su mestoli: insaziabili. Finirono i piatti tutti insieme sul filo dell’arrivo e tutti di nuovo serviti per la doppia razione e dire che ne avanzava forse per una terza, tanto era grande il recipiente.
Che volete che vi dica quello era il piatto che avevano così tanto ricercato, lo si capiva dal gusto e dai commenti, dalla soddisfazione che distendeva le fronti spesso corrucciate, e poi erano diventati più buoni tra di loro, si dicevano grazie e prego, si passavano l’acqua, l’oliera e così via, dimentichi delle pregresse liti furibonde cui s’erano lasciati andare negli ultimi mesi: sconciamente. Il linguaggio era migliorato di parecchio, forbito con giusti accenti e senza sbavature, insomma tutta un’altra storia. Quando all’improvviso, come colto da un’illuminazione, s’alzò il Dio dell’Osservazione, in genere silenzioso, e urlò: queste sono le Virtù! Tacquero posate ganasce e mormorii: la cosa era seria, e potete rendervene conto da voi stessi. Gli Dei in scacco da due contadini. Alcuni storsero il muso sporco, altri prima di farlo se lo pulirono, ma il Dio dell’Osservazione continuò imperterrito a onta delle conseguenze, e forte del suo nuovo incarico di Dio della Giustizia delle Cose, osservò: la bontà di questo piatto e tutto quello che ne è seguito ci dimostra che in esso sono raccolte tutte le virtù, perché le virtù non sono una cosa sola ma un insieme di cose ben congegnate e la prevalenza di una sola di esse guasta sapore e contenuto, e poi sono tutti ingredienti che si trovano facilmente, alla luce del sole, quindi io dico che l’uomo ha saputo trovare le virtù che noi abbiamo loro consegnato ai tempi dei tempi e ne hanno fatto buon uso.
Ma noi non vogliamo comandarvi! fecero i due poveretti letteralmente terrorizzati e persi in una condizione di grandiosa umanità.
Gli Dei avviarono febbrili consultazioni e all’unisono convennero che la condizione umana era inconciliabile con la potenza divina: i villici potevano dormire sonni tranquilli.
Un regalo in ogni caso vi spetta, fece il portavoce di tutti, il Dio Tesoriere.
Cosa?, chiese la villica alquanto interessata.
Ci sono, urlò il Dio delle Celebrazioni: a garantirvi un giorno dedicato alle virtù in questo stesso giorno, ogni anno, avrete un’esplosione di verdure, fiori e frutta perché possiate rinnovare per sempre la vostra saggezza.
Quel giorno era il primo di maggio.
La coppia s’inchinò umile di fronte a tanta benevolenza e guadagnò la porta, ma lei, la padrona di casa, la contadina, rimbrottò al marito: dovevi chiedere tu, farti sentire, che regalo è per me? fatica solo fatica pure il primo di maggio che è festa!
Ed è così che ogni anno nei giorni che precedono il primo di maggio rigoglisce la natura offrendo tutti gli ingredienti necessari per le Virtù a rinnovare la riconoscenza degli Dei verso l’innata saggezza degli uomini.
Il giorno successivo gli Dei, ancora pieni di quelle virtù, in un batter d’occhio elessero il Dio supremo che regnò non so quanti secoli, e a quanti mi chiedono, a conclusione di questa storia, perché gli uomini non sono sempre virtuosi e saggi, agevolmente rispondo: perché vogliono assomigliare troppo agli Dei.
 
Michele Mocciola

mercoledì 9 settembre 2015

INTERMEZZO POETICO





I lunghi pranzi, quale è Expo 2015, richiedono momenti di sosta per tacitare viscere e mandibole; per calmierare gli spazi cavernosi del ventre in modo da averne di nuovi per la ripresa. Molti sono i modi per impegnare questo tempo, e in genere si escogitano i divertimenti più svariati per rallegrare i convitati: aedi, giocolieri, danzatrici del ventre, nani impertinenti, mostruosità in gabbia, buffoni.
Noi abbiamo scelto la lettura di alcune poesie: basta cliccare sui link.

Cucinata di poesie letta da Michele Mocciola - redazione I Sorci Verdi

Giorgio Baffo letta da Giacomo Cattalini - redazione I Sorci Verdi


La prima - Cucinata di poesie - sfrutta il momento culinario italiano amplificato da Expo 2015 per richiamarci alla memoria grandi poeti e scrittori della storia della letteratura, ed è un invito ad approfondirne l'opera mentre mangiamo. In fondo, si tratta pur sempre di cibo per un corpo, quello umano, dalle molteplici esigenze.

Gli altri due componimenti sono di Giorgio Baffo, poeta licenzioso del '700, poco letto, eppure autore di spiccata arguzia e vividezza poetica; il tono spregiudicato delle poesie nulla toglie al ritmo serrato ed alla profondità del pensiero, anzi rivendica la libertà estrema di ogni vero poeta.

 

Cucinata di poesie è di Maria Chiara Forcella, psicologa e psicoterapeuta di Padova, autrice di Claut e Brunduis (Chiodi e Susine), Edizione Universitaria, Venezia; di “Nuovi Orizzonti” con Maison d’art, Padova; di Cidules (Rotelle infuocate) con l’antica legatoria libri Cesarò, Padova. Legge  poesie presso la Maison d’Art in occasione di mostre di pittura ricercando ed approfondendo  un percorso di legame  psicologico e psicanalitico tra arte pittura e poesia.

sabato 25 luglio 2015

I SEGRETI DE I SORCI VERDI - 4




L'afa è insopportabile e ci stringe a tenaglia sperando in un nostro immediato cedimento; noi resistiamo, ricorrendo ai più disparati congegni di sopravvivenza per spegnere fiamme caloriche per le quali vorremmo ritardare l'avvento. Giriamo inebetiti per la città, confondendo immaginazione e realtà nella calura che sale con le ore, fino a quando, spossati, decidiamo di tornare a casa per mangiare quel freddo gelato accuratamente messo da parte per i periodi peggiori: questo è uno di quelli! Ebbene, che gelato può mai rinvigorirci a dovere senza una spalmata di denso liquore al cioccolato che ci rende più energici e pronti a sfidare le altre ore della perfida canicola?
 
 
 
 
  
 
LIQUORE AL CIOCCOLATO
 
 
INGREDIENTI
 
100 g. di cacao amaro
 
1 litro di latte intero
 
800 g. di zucchero
 
200 g. di alcool puro per liquore
 
 
PREPARAZIONE
 
Miscelare bene cacao e zucchero in una teglia; scaldare appena il latte finché non diventa tiepido; aggiungere il latte nella teglia poco alla volta per bene amalgamare il composto.
Mettere la teglia sul fuoco basso portando ad ebollizione; dalla bollitura 15 minuti circa.
Consiglio: armatevi di pazienza perché con il fuoco basso l'ebollizione tarda ad arrivare, e scaldate i muscoli perché dovete mescolare continuamente durante questa fase, specie quando il composto inizia a diventare denso, per evitare la formazione dei famosi grumi.
Quando è finita la cottura fare raffreddare bene a temperatura ambiente, aggiungere l'alcool e travasare in belle bottiglie decorate.
In attesa dell'inverno, quando quello stesso liquore servirà a scaldarvi dal freddo.




sabato 27 giugno 2015

I SEGRETI DE I SORCI VERDI - 3


                         
Una nostra appassionata lettrice ha inviato questa gustosa ricetta, per tutti coloro che non disdegnano la carne ... anzi ne mangiano volentieri, perché de gustibus non disputandum est. Il tempo scorre via al suo tempo, che a noi pare veloce o lento, secondo imperscrutabili condizioni quotidiane, quindi per qualcuno è già estate da un pezzo, per altri è prossimo l'inverno. Ognuno potrà cucinare questo bel trancio di carne con una succosa polenta quanto avvertirà il freddo incipiente.
 
 
 
 
 
 
 
MANZO ALL'OLIO

 
Questa ricetta è tipica della zona di Rovato (provincia di Brescia); ne esistono diverse varianti, questa è  la mia ricetta.

 

INGREDIENTI

Un bel pezzo di carne di manzo, tipo cappello del prete da 1kg

Un vasetto di senape non troppo piccante

 2-3 spicchi d'aglio

 2-3 acciughe sotto sale

 Olio extra vergine 1/2 Litro

 Sale e pepe q.b.
 

PREPARAZIONE

Prendete la carne, mettetela sul tagliere, spalmatela generosamente con la senape (adoperate pure  le mani, così la massaggiate vigorosamente).

In una padella (meglio se antiaderente e con i bordi alti) fate rosolare in un po’ di olio gli spicchi di aglio tritati insieme alle acciughe.

Aggiungete la carne spalmata di senape e fatela dorare bene da tutti i lati.

A questo punto aggiustate di sale e pepe e ricoprite letteralmente la carne di olio extra vergine… Sembra uno spreco, ma altrimenti non si chiamerebbe manzo all'olio!

Fate cuocere lentamente a fiamma minima la carne, rigirandola ogni tanto, anche per 2-3 ore, dipende da quanto è grande.

A cottura ultimata fatela raffreddare tra due piatti con sopra un peso, per tutta la notte.

Quando è il momento di mangiare, la carne va tagliata in fette sottili e cosparsa col sughetto di olio riscaldato.

Si consiglia di accompagnarla con una buona polenta, magari taragna, e delle patate arrosto.

BUON APPETITO!!! 

Betty Paniz


sabato 23 maggio 2015

I SEGRETI DE I SORCI VERDI - 2




POLPETTE DI MELANZANE

 

INGREDIENTI

1 KG. di melanzane

2 uova

4-5 sfilatini o baguette (nel dubbio meglio prenderne uno in più, perché non è possibile stabilirne l’esatta quantità)

1 etto di parmigiano

Basilico (molto)

 

PREPARAZIONE

Sbucciare le melanzane e tagliarle in quattro parti in lunghezza; mettere a bollire una pentola d’acqua, senza aggiungere sale (la pentola deve essere abbastanza alta per contenere le melanzane). Quando l’acqua bolle, mettere le melanzane tagliate, loro tendono a risalire a galla ma voi spingetele giù con decisione (non abbiate paura di essere aggressivi), caso mai anche mettendoci sopra un coperchio, tanto più si riempiono d’acqua e si ammorbidiscono, più staranno buone nel pentolone. Occorre farle cuocere molto, fino a quando diventano così morbide da spappolarsi toccandole con un cucchiaio di legno. Non preoccupatevi se la cucina si riempie di vapore e se l’acqua fuoriesce dalla pentola sporcando il piano cottura, è normale: si pulisce tutto alla fine.

Nel frattempo che le melanzane cuociono, riempite un contenitore ampio di acqua e mettete a mollo gli sfilatini, prima dividendoli a metà. Il pane deve restare a mollo finché non riuscite a staccare la scorza, quindi recuperate solo la mollica del pane e strizzatela forte facendo delle piccole palle. Se alla fine di questa operazione le melanzane non sono ancora pronte potete ingannare il tempo preparando il parmigiano grattugiato e il basilico, che va lavato e tagliuzzato finemente. Se quelle benedette melanzane non sono ancora pronte, nell’attesa potete leggere qualche articolo de I Sorci Verdi che vi era sfuggito.

Quando le melanzane sono pronte, scolate, quindi prendete due strofinacci (per chi ha la pelle delicata anche di più), apriteli e metteteci dentro un po’ di melanzane alla volta (che ora sono soltanto una poltiglia), chiudete lo strofinaccio e strizzate più che potete per fare uscire tutta l’acqua che le melanzane hanno assorbito: l’operazione richiede un po’ di forza e comporta un po’ di sofferenza, perché lo strofinaccio è bollente. Bisogna fare uscire bene tutta l’acqua altrimenti l’impasto non riuscirà. La finalità di queste operazione, come di quella del pane, è di fare uscire tutta l’acqua assorbita sia dalla mollica che dalle melanzane.

Adesso preparate l’impasto mettendo le melanzane strizzate, la mollica, parmigiano, uova, basilico tritato e sale. Lavoratelo bene fino a quando non avrà una buona consistenza.

Dopo avere impastato bene ed avere ottenuto un composto amalgamato (sappiate che non sarà mai duro come l’impasto del polpettone ma sempre abbastanza morbido), preparate le polpette delle dimensioni che preferite.

Quindi, allestite la grande padella della frittura con un ottimo olio italiano, e date il via alla fase finale della cottura.

La cottura delle polpette non richiede molto tempo essendo le melanzane già cotte.

N.B. Gli strofinacci che avete usato per strizzare le melanzane sembreranno da buttar via, ma non è così, basta metterli subito in acqua calda per una prima pulita e per evitare che i rimasugli di melanzane si secchino, poi li laverete in lavatrice o a mano. Se resta qualche macchia di melanzana, pazienza, sono sempre stracci da cucina.
 
L'operazione può essere un po' laboriosa ma quelle polpette sono da leccarsi i baffi e non bastano mai! E vanno bene anche per i non carnivori.


mercoledì 13 maggio 2015

I SEGRETI DE I SORCI VERDI - 1

 

Expo 2015 è un’ottima occasione per aprire la scatola dei segreti culinari de I Sorci verdi, custodita da tempo gelosamente in attesa dei tempi fecondi. Gli aperitivi, le portate, i piatti forti, i liquori e le graticole non saranno più soltanto parole ma pietanze vere e proprie, da sperimentare, cogliendo l’occasione di fare ciò che non sappiamo fare o ciò che non conosciamo. E nella pagina dei commenti potete informarci dell’esito delle spadellature, con suggerimenti sulle deviazioni o improvvisazioni che hanno migliorato i nostri piatti, o su ciò che non ha funzionato. Oppure soltanto per avere dei chiarimenti.

Si inizia con un omaggio al Venezuela, al suo modo di preparare il riso, semplice ma assai gustoso, leggermente adattato all’Italia, Paese ospitante.
 
 
 
RISO ALLA VENEZUELANA
 
INGREDIENTI (per due persone)
Riso
Erbette (prezzemolo, basilico, cipolla, carote, cuore di sedano)
Olio
Burro
 
1 tazza di riso
2 tazze d’acqua
Ad ogni tazza di riso deve corrispondere il doppio delle tazze d’acqua
 
PREPARAZIONE
 
Tritare le erbette e mescolarle, soffriggere il trito in un poco di olio e di burro, aggiungere al soffritto la tazza di riso e continuare a fare soffriggere il tutto mescolando continuamente per evitare che si attacchi alla pentola, dopo qualche minuto (non molto) aggiungere le due tazze d’acqua, portare ad ebollizione, quindi abbassare la fiamma e proseguire nella cottura fino a che l’acqua non si è ritirata.
 
 


sabato 7 febbraio 2015

ZINNFIGUR


Premessa dell'autore

Quello che segue è un testo teatrale. Pensato, programmato e scritto per la scena. Non solo. Il testo che segue è scritto in forma di monologo, forse il genere teatrale più complicato da scrivere, dirigere e intepretare. O perlomeno, è il più complicato per il sottoscritto.
Il bravo attore, come in una prova di abilità, entra ed esce continuamente dalle scene, dai momenti di narrazione e dai personaggi. Toccherà quindi in buona parte all'attore (e non meno al regista) dare ai vari momenti, alle varie bolle spazio-temporali la consistenza, la diversità e la caratterizzazione necessaria.
Quanto ai personaggi, essi in buona parte si presentano autonomamente al pubblico, quindi eviterò di elencarli all'inizio come si usa di solito.
Per questa ragione alcuni passaggi del testo potranno risultare macchinosi al lettore, a tratti perfino oscuri, al netto delle scelte registiche della messa in scena, che peraltro permette di fare su un testo teatrale ogni tipo di modifica necessaria a rendere i suddetti passaggi leggibili per il pubblico.
Ho provveduto in ogni caso all'inserimento di note e didascalie, cercando di non esagerare nelle spiegazioni; di lasciare cioè la possibilità al lettore di muoversi negli spazi del sottotesto e di formulare un'idea non univoca della possibile messa in scena.

 Un attore. Alcuni oggetti sparsi sul pacoscenico, appoggiati a sedie, spioventi dal soffitto, posti per terra. Un giaccone militare, la cui fodera interna sia di colore chiaro, poi vedremo perché.
Lo spettacolo si apre con la musica di Shostakovich – Piano Concerto n.2 Op.102, I. Allegro.

 
IL SOLDATO AUSTRIACO

  

C'erano una volta venticinque soldatini, tutti fratelli, perchè tutti fusi fuor dallo stesso vecchio cucchiaio di stagno.

Avevano il fucile con la baionetta in ispalla, la divisa rossa e turchina, proprio bella, e tutti guardavano diritto dinanzi a sè. La prima cosa che udirono al mondo, quando fu tolto il coperchio della scatola, fu il grido: «Soldatini di stagno!» Chi aveva gridato così, battendo le mani, era un ragazzo, e i soldatini gli erano stati regalati per Natale.

Egli li mise tutti sulla tavola: ogni soldato era identico agli altri; soltanto, per quello che era stato fuso per ultimo, non era rimasto stagno abbastanza, e così gli era venuta una gamba sola; ma egli stava altrettanto saldo sull'unica gamba, quanto gli altri, che ne avevano due; e fu appunto questo soldatino che si distinse.

 
Mi chiamo Hans Bauer, sono un soldato austriaco.

Sulla tavola, sulla quale si trovavano, c'erano molti altri balocchi; ma quello che più attirava lo sguardo era un grazioso castello di cartone.

I miei genitori si chiamano Willem e Clara.

Dinanzi al castello, certi alberelli erano piantati attorno ad un pezzettino di specchio, che doveva raffigurare un limpido lago; e sul lago nuotavano specchiandosi alcuni piccoli cigni di cera.

Ho amato una sola ragazza, si chiama Sophie.

Tutto questo era molto bello; il più bello di tutto, però, era una piccola signora, ritta vicino al portone aperto del castello; anch'essa di cartone, ma con un vestito di velo leggerissimo, ed un sottile nastrino azzurro sulle spalle.

Ho 22 anni.

Arrotondava con grazia le braccia al di sopra del capo, perchè era una ballerina, e teneva un piede così alto, per aria, che il soldato, non vedendolo, credette che anche lei avesse una gamba sola.

Mi chiamo Hans Bauer. Io sono quello che muore.

 
Nuova traccia musicale. Personalmente, in teatro amo molto il contrasto stridente che si può creare con tra l'atmosfera di una scena che sta per venire o è appena stata, con una musica di tutt'altro clima. Come vedere un clown che piange. La mia scelta è ricaduta su Perfect Day, di Lou Reed.

 Sono schierato in posizione di difesa, in trincea, dall'inizio di quest'anno che dura da quindici giorni. Mentre lascio la posizione per aiutare un compagno ferito, una pallottola forgiata in stagno mi trafigge qui, qualche centimetro sopra il cuore ed esce dall'altra parte. La mia agonia dura un paio di minuti.

 IL SOLDATO ITALIANO

Segue un dialogo. Si rende chiaramente necessaria una trovata registica che permetta all'attore in scena di intepretare contemporaneamente due personaggi, e abbastanza semplice da essere intuitiva per il pubblico e non far crollare il ritmo dello spettacolo. Un cambio di fronte può essere efficace, oppure indossare e levare un cappello, indossare la giacca militare a mezza spalla, come naturalmente sfruttare diverse capacità vocali.

 
(Fischietto) Soldati fuori dalle buche! (fischietto) Fuori dalle buche! (fischietto)

Domani attraversiamo il Vallone incontro agli austriaci e andiamo fino in cima a quota 2.105, teniamo la posizione e aspettiamo i rinforzi, armi pronte, munizioni e granate per ogni uomo! Attenti alle tane delle mitragliatrici, niente corse brevi! L'ultima volta hanno usato anche i gas e i lanciafiamme per domani prevedono vento contrario, quindi dovremmo essere protetti almeno finche non siamo a distanza ravvicinata.
Attacchiamo appena finisce il bombardamento, risaliamo il crinale, tagliamo i reticolati e poi fino a destinazione: se vedo qualcuno tornare indietro, fermarsi o abbandonare il proprio posto, giuro sul Re e suoi Savoia che se non gli sparo io lo faccio fucilare appena rimette piede al campo!
Soldato!

Hai portato la scatola di medicazione?

-       Signorsì signore, la porto con me nello zaino.

-       Tirala fuori!

-       Signorsì.

-       Aprila. (si rovescia tutto il contenuto)

-       Signorsì.

-       Cosa contiene?

-       Garze...bende, signore.

-       Quante sono?

-       Dieci, mi sembrano dieci.

-       C'è dell'altro??

-       Una fiala.

-       Tintura di iodio! Memorizzate questo nome! Ora prendi le istruzioni contenute! Decalogo del soldato ferito, del professor Gustavo Lusena di Genova. Facciamo un bel ripasso per tutti, ad alta voce!

-       Uno...non toc..toccare mai la fe..rita né con le dita, né col faz..z...zoletto.

-       Soldato, non sai leggere? Qual'è il tuo reparto?

-       Signore, non so leggere bene, signore, pochi anni a scuola, troppo pochi...stavo ai rifornimenti fino a tre giorni fa, poi mancavano uomini nella buche e mi han messo in trin...

-       C'è scritto regola numero uno: Non toccare mai la ferita né con le dita, né col fazzoletto, né con altro oggetto che non sta nel pacchetto di medicazione! Regola numero due!

-       Due...Copri al più pre..presto con la garza. Tre..non lavare mai la f..ferita né con acqua né con soluz...zioni che puoi credere disin...disinfettanti. Quattro. Se possiedi tintura di Iodio, applicala intorno alla ferita.

-       Regola numero Cinque! Se siete feriti al ventre, non si beve e non si mangia! Continua!

-       Sei...se hai una ferita anche lie..ve al capo, và subito a farti medi...care al posto di medicazione.

-       Ricordate che le ferite alla testa sono le più pericolose: andate, subito, al posto di medicazione senza pensarci due volte! Regola numer sette...se la ferita butta sangue, fasciatela. Quando vi fasciate, non fasciate troppo stretto fino a far diventare tutto gonfio, o farete solo un grosso favore al nemico e alora tanto valeva che vi sparasse un po' meglio! Otto!

-       Otto...se malgr..magr...malgrado...se malgrado la fasciatura il sangue continua a scorrere...

-       Regola numero otto, nove e dieci: a parte usare le garze e la tintura, se siete feriti non provate a fare un cazzo di niente! Andate di corsa dall'ufficiale medico e non provate ad improvvisarvi chirurghi! Imparate queste istruzioni, fatevele leggere da un compagno imparatele in dialetto, non mi importa, ma dovete saperle! Soldato! Riprenditi la tua scatola!Soldati, rientrate nelle buche! Restate al coperto e aspettate gli ordini! (fischietto)

 (rimettendo garze e istruzioni nella scatola)

 
Venuta la sera, tutti i soldatini di stagno furono riposti di nuovo nella loro scatola, e quelli di casa andarono a letto. Allora i giocattoli incominciarono a giocare per conto loro: un po' facevano è arrivato l'ambasciatore, un po' il lupo e le pecore, o la festa da ballo. I soldatini strepitavano chiusi e ammassati dentro alla scatola, perchè sentivano i suoni di fuori e avrebbero voluto unirsi anch'essi al gioco, ma non riuscivano a sollevare il coperchio.

 

Mi chiamo Andrea Speretti, sono un soldato italiano. I miei genitori si chiamano Antonio e Maria.  Ho 19 anni. Facevo il cacciatore, prima. Non so leggere bene, ma so sparare bene.
Ricordo tutti i movimenti. Fucile Carcano, Modello 1891, fabbricazione italiana.
3,16 kg, 92 cm, munizioni 6,5x52 mm, 660 m/s.
Ogni azione di caricamento pronunciata corrisponde a un movimento in sequenza dell'attore.
Manubrio. Ruoto, 90°. Disimpegno le scanalature della culatta, estraggo il bossolo spento. La molla dell'elevatore del caricatore spinge in alto i proiettili rimasti. Otturatore, avanti. Incamero una nuova cartuccia. Il cane rimane in posizione. Otturatore, ruoto in senso inverso e chiudo. Non occorre altro: Sono pronto al fuoco. Sono pronto al fuoco. Sono pronto al fuoco. Mario Speretti, pronto al fuoco.
Ta pum/ ta pum/ ta pum.

Canto. Per il clima creato fin qui e la durezza delle parole pronunciate, una versione sussurrata, dal sentore quasi consolatorio trovo sia molto più indicata della versione “a coro” che la famosa canzone alpina prevederebbe.

 
Venti giorni sull’Ortigara

senza il cambio per dismontà;

ta pum ta pum ta pum (due volte)

 Ho sparato al mio primo nemico mentre correva verso una mitragliatrice

 
Quando poi ti discendi al piano

battaglione non hai più soldà;

ta pum ta pum ta pum (due volte)

 

Ne ho colpito un altro che si era affacciato dalla buca con troppo entusiasmo

 
Quando sei dietro a quel muretto

soldatino non puoi più parlà

ta pum ta pum ta pum (due volte)
 

Loro hanno usato gas e lanciafiamme, la montagna ha cambiato colore

 
Ho lasciato la mamma mia

l'ho lasciata per fare il soldà;

ta pum ta pum ta pum (due volte)

 

Ne ho colpito ancora uno che si era alzato a lanciare una granata

 

Dietro al ponte c'è un cimitero

cimitero di noi soldà;

ta pum ta pum ta pum (due volte)

 

Ho sparato finchè le dita non mi hanno fatto male.

 

Cimitero di noi soldati

forse un giorno ti vengo a trovar;

ta pum ta pum ta pum (due volte)

 

Ta pum/ta pum/ta pum!

 

Avevo 12 anni. Avevamo un cane, ma non gli avevamo dato un nome. Non si usa, quando di animali ne hai tanti. Saliva con me, in montagna, quando andavamo a caccia. Era un bravo cane, un buon animale. Un giorno di febbraio con la neve e il sentiero ghiacciato a tratti, il cane finì per scivolare rischiando di cadere in un dirupo. Sarebbe di certo morto se non lo avessi afferrato per il collare e tirato verso di me. Ma sarebbe stato meglio così.
Non gli avevamo dato un nome. Tirato per il collare e spaventato dallo scivolone, il cane credette che stessi cercando di strozzarlo. Mi saltò addosso e cercò di mordermi, per la prima volta. Non ci misi molto a capire. Non era più lo stesso cane. La paura di morire trasforma gli animali in bestie. Nemmeno a casa era lo stesso. Morse mio padre e anche mia madre.
Lo portiamo fuori in cortile. Io ho in mano il fucile. Il cane resta in posizione, ringhiando. Il suo sguardo è solo odio e nulla più. Sparagli. Sento ancora la voce di mio padre nella testa: sparagli. Sparagli.

SPARA! Quello ha lasciato la sua posizione per aiutare un ferito. SPARAGLI! La gamba destra è tranciata sopra il ginocchio, quello tira, tira, tira e trascina verso la trincea, trascina e tu SPARA, MALEDIZIONE, SPARAGLI! Ma sta aiutando un compagno, non sparo sui soccorsi, non sparo sui soccorsi...SPARA! O TORNANO INSIEME NELLA BUCA E TI SPARERANNO IN DUE! Non ha nemmeno portato il fucile con sé, lo lascio fare, gli sparo appena è rientrato. SPARAGLI ORA!
Stiamo perdendo la cima ormai... SPARA E SALVA I TUOI UOMINI, SPARAGLI! Il moncone di lui vibra e strappa come un corpo a sé. SPARA! Non ce la faccio. SPARA! Lo lascio andare SPARA! Mi sta scappando SPARA, MALEDIZIONE, SPARA! ORA!

 (In sequenza rapida i movimenti: manubrio, culatta, caricatore, otturatore, fuoco)

Non so leggere bene, ma so sparare bene.
Quello cade a terra di schiena per il colpo, urlando. Rotola verso il basso fino a fermarsi a testa in giù, contro una roccia, in una posizione contorta. Urla per almeno due minuti, poi smette e non si rialza più. Nessuno esce più dalle buche per aiutarlo.
 

Quando venne il mattino e i fanciulli si alzarono, il soldatino di stagno fu posato sul davanzale della finestra, la finestra si spalancò a un tratto, e il soldatino precipitò dal terzo piano a capofitto nel vuoto. Tese l'unica gamba all'aria, e rimase a baionetta verso i basso, con l'elmo fitto tra le pietre del selciato. I fanciulli corsero subito giù a cercare il soldatino; gli andarono così vicino che quasi lo pestavano, eppure non riuscirono a vederlo.

Se il soldatino avesse gridato, l'avrebbero subito raccattato; ma, essendo in divisa, non gli parve decoroso mettersi a gridare.

 

Una musica può facilitare qui il cambio di situazione. In virtù di quanto spiegato precedentemente, e volendo tenere un fil rouge nell'intero spettacolo, ho scelto un'altra canzone di Reed, dal significativo titolo di The Gun. Qui c'è forse il passaggio meno chiaro al lettore, se non spiegato come sto per fare: L'assalto alla collina 2.105 è fallito, il battaglione torna nelle trincee e i comandanti decidono di operare una decimazione per punire la truppa del fallimento imputato alla loro codardia. Si tratta di una pagina tristemente nota della storia militare italiana. I soldati a turno sono portati ad estrarre una pagliuzza -un bastoncino, un fiammifero- da un qualche tipo di contenitore in cui se ne trovano dieci: nove sono di lunghezza normale, una sola è corta, o di un colore diverso. Chi pesca quella diversa, indipendentemente dai suoi meriti o demeriti, verrà fucilato come esempio. Tutte queste cose non sono dette; vanno quindi mostrate.

 
Signore, mi ascolti, la prego io ho combattuto. Non sono stato io a ritirarmi, io sono rimasto in prima linea ho sparato tra la roccia il fango che entra nelle scarpe il fumo che ti acceca il filo spinato che ti strappa la carne io c'ero non mi sono mosso. Non mi merito questa punzione nessuno del battaglione si merita questa punizione signore sono un buon soldato, un soldato italiano, non fucilatemi ora qui senza nemmeno pensarci. Chi vi ha dato l'ordine?
Se abbiamo perduto la posizione è colpa nostra ma provi lei a combattere tra le bombe e le raffiche qui dal basso verso l'alto e poi mi dice se non fa mai un passo indietro ma sempre in avanti, perchè io l'ho fatto e adesso l'attacco è fallito avete contato fino a dieci fatto un'estrazione e quello che dev'essere fucilato sono io? Sono io?
Non portatemi contro quel muro, non dovete farlo nessuno poi lo saprà se non lo fate, perché volete ucciderci voi quando ci sono già i nemici?!


Non sei che una croce

Nessuno forse sa più

perchè sei sepolto lassù

nel camposanto sperduto
sull'Alpe, soldato caduto.

Nessuno sa più chi tu sia

soldato di fanteria.

coperto di erbe e di terra,

vestito del saio di guerra.

l'elmetto sulle ventitré

nessuno ricorda perché

posata la vanga e il badile

portando a tracolla il fucile

salivi sull'Alpe, salivi

cantavi e di piombo morivi

ed altri morivano con te

ed ora sei tutto di Dio.

Il sole, la pioggia, l'oblio

t'han tolto anche il nome d'un fronte

non sei che una croce sul monte

che dura nei turbini e tace

custode di gloria e di pace.

 
Non dovete farlo, non potete farlo. Che dio vi aiuti, da domani. Ricordate il mio nome. Scrivetelo. Ripetetelo. Non voglio essere un soldato senza nome in una fossa comune. Che dio vi aiuti.

 
Il soldatino rimase muto e si contentò di tener l'arma ancora più salda.

Alcuni monelli lo trovarono e lo misero a navigare su una barchetta di carta in un rigagnolo. Lui rimaneva intrepido e non mutava colore; guardava sempre fisso davanti a sè e teneva il fucile in ispalla. La barchetta precipitò in un canale assai più grande; il povero soldatino si tenne ritto perchè nessuno potesse dire d'averlo nemmeno veduto batter palpebra.

Oramai, il pericolo era così vicino, che il soldatino non poteva più evitarlo. Già le nuvole si richiudevano sopra il suo capo. Pensò allora alla graziosa ballerina, che non avrebbe mai più riveduto e un ritornello gli tornò alla mente:

 

Soldato, dove vai? La morte incontrerai!

 

Una voce registrata accompagna il cambio scena. Quanto segue è una vera dichiarazione del generale Cadorna, che pure in altre occasioni si dice favorevole alla pratica della decimazione per motivare i soldati.

 

Chi punisce con la pena di morte si domandi sempre in coscienza, se tutto è stato fatto per parte sua, per migliorare moralmente e materialmente le condizioni dei suoi soldati, se, oltre a reprimere, egli ha saputo prevenire, se egli è stato a continuo contatto con l'animo delle truppe per comprenderne le aspirazioni, i bisogni, le depressioni, il bene e il male; se, in una parola, egli senta di dominare veramente le forze vive che gli sono affidate, con quella scienza del cuore umano senza la quale nessuno è mai condottiero.

 

Generale Luigi Cadorna

 

LA DONNA ITALIANA

 

Un altro cambio, forse il più difficile. Il bravo attore di cui sopra dovrà evitare di cadere nei facili stereotipi femminili e nella caratterizzazione (vocale soprattutto) ridicola e inopportuna. Annodare la giacca in vita come fosse una gonna è già un segno estremamente chiaro di un cambio drastico. La donna ha un secchio, come vedermo più avanti.

 

Gli uomini partono e vanno a morire in battaglia, alle donne rimaste sole tocca il duro compito di gestire la guerra nelle retrovie. Si occupano dei lavori maschili nei campi e in fabbrica: spruzzano l’anticrittogamico nei campi, provvedono alla vendemmia e alla raccolta delle mele.

Puliscono camini, producono munizioni, conducono locomotive, fanno le vigili del fuoco; inoltre si devono preoccupare dei membri della famiglia rimasti a casa, bambini e vecchi.

 

L’unico sistema per raggiungere la prima linea del fronte, in alta montagna, è il trasporto a spalla, nelle ceste e nei secchi, seguendo sentieri e mulattiere. Ma per effettuare questi trasporti non si possono sottrarre militari alla prima linea senza danneggiare...la guerra, allora l'esercito chiede aiuto alla popolazione. Io già lavoro in una fabbrica che produce munizioni, il mio compito è pensare alle confezioni, ma per qualche moneta in più mi occupo anche del trasporto fino in quota. Ho sempre fatto avanti e indietro.

 

A 7 anni andavo al pozzo tutte le mattine e tutte le sere a prendere l'acqua per la casa. Un secchio alla volta, calavo la corda e tiravo su. Ogni mattina. Ogni sera. Un giorno ho legato male il secchio al gancio della corda, e quando ho fatto per recuperare, ho perduto il secchio. Andavo al pozzo ogni sera e ogni mattina. Ho sbattuto la schiena per terra dal contraccolpo, quando il nodo ha ceduto e a corda si è strappata. Una volta a casa senza acqua e senza secchio, mia madre ha preso una verga e mi ha fustigato. Colpiva la schiena là dove io avevo battuto. Però non ho pianto.

 

Ho consegnato tre giorni fa una cassa di munizioni alla prima linea mentre i cannoni tuonavano contro la montagna. Cesta sulla schiena, mani strette sulle corde. I passi scalfiscono il ghiaccio, la corda solca la neve, il respiro a tratti si affanna. Ho camminato un giorno e mezzo. Ho visto, i cadaveri in fondo a vallone. Ma ho finto di non vederli.

Ho consegnato le casse di munizioni a un ragazzotto dei rifornimenti. Sapeva leggere anche peggio di me, c'abbiamo impiegato venti minuti a leggere il bollo di spedizione. Munizioni 6,5x52 mm, piombo e stagno.

Lui ha firmato e io ho ripreso il mio viaggio all'indietro. Oggi mi hanno detto che è morto. Tre giorni fa gli ho consegnato munizioni in stagno. Oggi mi hanno detto che è morto.

 

Adesso dovrei presentarmi dicendo il nome dei miei genitori e dicendo quanti anni ho.

Ma scusate, ho troppe cose da fare, oggi.

 

Nuova traccia musicale, per l'ultimo cambio e l'ultimo personaggio (o meglio, coppia di pesonaggi). In questo caso, senza lasciare del tutto Lou Reed, ho optato per Heroin, dei Velvet Undergound.

 

La carta si lacerò ed il soldato cadde di sotto; ma proprio in quel momento, un grosso pesce lo inghiottì. Allora sì, che si trovò al buio davvero! Si stava ben peggio lì che nella barchetta, e pigiati poi... Ma il soldato rimase imperterrito, e, anche così lungo disteso, mantenne pur sempre il fucile in spalla.

Il pesce non si chetava un momento: correva qua e là con certi guizzi terribili; alla fine, si fermò e parve traversato come da un baleno: e allora qualcuno gridò forte: «Oh! il soldato di stagno!» Il pesce era stato pescato, e poi portato al mercato e venduto, ed era capitato in cucina, dove la cuoca gli aveva aperto la pancia sventrandolo con un grande coltello affilato.

Allora la cuoca prese il soldato con due dita a traverso il corpo e lo portò in salotto dove tutti vollero vedere quest'uomo meraviglioso, che aveva viaggiato nel ventre d'un pesce.

 

 

IL VOLONTARIO RESPINTO

 

Ultimo cambio. Siamo lontani dai racconti relativi al fronte di un attimo fa, ma comunque collegati ad essi. Occorre porre di nuovo attenzione al modo in cui questo cambio possa risultare fruibile per il pubblico. Siamo in un ospedale. La luce può aiutare, intanto perché verrà citata molto nel dialogo che segue. Si renderebbe teoricamente necessario un camice, o un segno forte che chiarisca la nuova situazione. Indossare la giacca militare al contrario, ad esempio, di modo da mostrare la fodera interna bianca, è una trovata efficace e che trafigura molto il corpo dell'attore, rendendo credibile il cambio di situazione.

 

 

-       Si faccia avanti, non rimanga sulla porta.

La sala dell'ufficiale medico è bianca. Mattonelle bianche alle pareti, bianco il soffitto, bianco il pavimento. Luce, bianca.

-       Si faccia avanti, ho detto.

-       Mi hanno mandato qui per la visita.

-       La visita medica.

-       La visita medica.

-       Altra carne. Arruolamento forzato?

-       Volontario.

-       Perché?

-       Servizio alla patria.

-       Anni?

-       Ventotto.

-       Vecchio. Quante volte l'hanno già scartata?

-       Quattro.

-       Non lo capirò mai perché siete in tanti a voler andare in quell'inferno. Siete tutti impazienti all'inizio. Poi vi accorgete di com'è davvero e cambiate idea. Si faccia avanti.

-       La luce e tutto questo bianco...mi da fastidio.

L'ufficiale medico si avvicina alla luce. Ha una gamba sola. Si infila i guanti, poi ignora il resto del corpo ma ispeziona la bocca in maniera meticolosa.

(ispezione della bocca)

-       Mancano dei denti. Un bel po' di denti. Ha la gola infiammata e le ghiandole gonfie. (ispezione degli occhi) Anche gli occhi sono rossi.

-       Ho dormito poco.

-       No, lei beve. E beve dalla mattina.

-       Solo oggi.

-       Non è vero. Sa cosa le fanno se la trovano ubriaco al fronte?

-       Posso fare la mia parte.

-       No invece no. All'esercito non servono soldati così. Ce ne sono già fin troppi. Lei è respinto.

L'ufficiale medico si allontana, girando le spalle. Esce dalla luce.

-       No la prego.

-       Le sto salvando la vita.

-       Mi sta destinando all'infamia! Questa è la mia prima guerra...

-       Questa guerra non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente.

-       Tutti devono contribuire!

-       Contribuisca allora. Torni a casa, raduni gli oggetti di metallo di cui puoi fare a meno,  consegnali agli ufficiali di guerra. Piombo, acciaio, stagno. Tutto viene fuso e trasformato in elmetti, coltelli e palottole. Soprattutto pallottole. Lasci stare l'esercito, tanto presto smetteranno di combattere anche loro.

-       Non possiamo smettere noi soli. Se no viene qualche cosa di peggio che la guerra.

-       Peggio della guerra non c'è niente.

-       Sì, la disfatta.

      L'ufficiale medico rimane in silenzio, forse ci sta pensando.

-       Non mi pare. Disfatta vuol dire che si va tutti a casa.

-       Signore, lei non capisce cosa vuol dire un'invasione, se no ne avrebbe paura.

-       Non c'è niente di peggio che la guerra. Voi che scalpitate per il fronte non potete capire. E non la si vince mai, la guerra, con le vittorie. Bisogna che gli austriaci smettano di combattere. O da una parte o dall'altra bisogna smettere di combattere. E perché allora non smettere noi? Lasciamo che vengano in Italia. Poi si stancano e se ne vanno. Hanno un paese anche loro.

-       Vigliacco! Quelli come lei ci faranno perdere la guerra!

Schiaffo. L'ufficiale medico guarda per terra. Il suo sguardo è vuoto.

-       Se ne vada. Lei è respinto.

La porta stride aprendosi. L'ufficiale medico non si muove.

Luce, bianca. Fastidio agli occhi.

 

Non sono nessuno, non sono niente, nemmeno un uomo. Non chiedetemi il nome.

 

Il soldatino di stagno aprì gli occhi lentamente, abituandosi alla luce. Non poteva crederci. Si trovò nello stesso identico salotto di dov'era partito, si vide attorno gli stessi bambini, e vide sulla tavola, tra gli stessi balocchi, lo splendido castello con la bella ballerina, che se ne stava sempre ritta sulla punta di un piede ed alzava l'altro per aria, intrepida anche lei. Il nostro soldatino ne fu tanto commosso, che avrebbe pianto lacrime di stagno, se non gli fosse parso vergogna. Egli la guardò, ed essa guardò lui, ma non si dissero nulla.

 

SOLDATO AUSTRIACO

 

Mi chiamo Hans Bauer e sono un soldato austriaco. Vi racconto una storia.

Un uomo torna a casa sconfitto trascinando i piedi perché la guerra non è cosa per lui. Non dice una parola a nessuno. Apre i cassetti delle credenze, svuota la cantina e le mensole. Recupera alcune posate che non usa da anni, vecchie monete di nazioni che non esistono più, pezzi di una vecchia stufa, recipienti in bronzo e stagno, i soldatini con cui giocava quando era ragazzo. Consegna tutto agli ufficiali di guerra. Strette di mano. Ne ottiene un grande elogio.

I suoi oggetti vengono smistati per metallo, fusi e colati. Diventeranno cannoni, diventeranno spade e coltelli, diventeranno pallottole, 6,5x52 mm.

Una donna in fabbrica richiude una ad una con le prprie mani le confezioni di munizioni e le carica sulla propria cesta. La sua schiena porta ancora i segni delle sferzate subite da bambina.

Un soldato in prima linea estrae i proiettili dalla confezione, li inserisce a mano nel caricatore, e pensa al suo cane. Manubrio, culatta, caricatore, otturatore, fuoco.

Un lampo e un po' di fumo.

A diversi metri di distanza, io sono colpito a morte.

È quel silenzio, che non scordo.

Non rivedrò mai più la mia città, non rivedrò più i miei genitori.

Non rivedrò più la mia Sophie.

 

 

Per un'idea di circolarità (e ripetitività) degli eventi che lo spettacolo in buona sostanza suggerisce, non trovo fuoriluogo chiudere, come si è aperto, con gli ultimi movimenti di Shostakovich – Piano Concerto n.2 Op.102, I. Allegro.

 

 

A un tratto, uno dei bambini più piccini afferrò il soldato e lo gettò nella stufa, così, proprio senza un perchè al mondo.

Il soldatino si trovò tutto illuminato e sentì un terribile calore: egli stesso non riusciva a distinguere se fosse il fuoco vero e proprio, o l'immenso, ardente suo amore. Non gli era rimasto più un briciolo di colore: fosse poi conseguenza del viaggio o delle emozioni nessuno avrebbe potuto dire.

La ballerina lo guardava ed egli guardava lei; e si sentiva struggere, ma rimaneva imperterrito, col fucile in ispalla. In quella, una porta si spalancò; il vento investì la signorina, ed essa, volando come una farfalla, andò proprio difilata nel caminetto presso il soldato: una vivida fiamma... e poi, più nulla.

Il soldato si strusse sino a diventare un mucchietto informe, e il giorno dopo, quando la domestica venne a portar via la cenere, lo trovò ridotto come un cuoricino di stagno.

 

 

FINE

 

 

 

Conclusioni

Ho accennato nella mia premessa al lavoro che, a mio parere, occorre facciano un bravo attore e un bravo regista su questo tipo di testo.

Ora, io il bravo attore l'ho avuto, e si chiama Pavel Zelinskiy.

Per chi ha avuto modo di leggere questo testo, spero sia stata una lettura piacevole; mentre chi ha avuto modo di vedere lo spettacolo di cui ho curato la regia, spero possa dire di aver assistito a una brava regia. ZINNFIGUR ha debuttato il 31 gennaio 2015 al Teatro Micheletti di Travagliato; concludo citando i nomi di tutte le persone e gli enti che hanno sostenuto la produzione dello spettacolo:

 

ZINNFIGUR

Una produzione Il ServoMuto/Teatro e A.N.A Brescia (Gruppo di Travagliato)

Con il patrocinio del Comune di Travagliato.

E con il sostegno del Comune di Borgosatollo.

Drammaturgia e regia Michele Segreto.

Con Pavel Zelinskiy.

Per le scenografie Diego Ossoli.

Si ringrazia il Comitato provinciale di coordinamento delle iniziative commemorative 1914-1918.
E Nahìa Associazione Culturale.
 
 
 
 
 
 
Michele Segreto
Si forma come attore nelle produzioni della compagnia Viandanze – culture e pratiche teatrali, poi con Silvio Castiglioni e Giorgia Penzo, Mariano Dammacco, Maurizio Camilli e Michela Lucenti (BallettoCivile), Marina Rossi, Giovanni Calcagno. Segue laboratori di regia con Giovanni Guerrieri (I Sacchi di Sabbia). Studia canto e voce con il maestro Filippo Cuscito. Lavora con Fausto Ghirardini, Maria Rita Simone, Elena Barbalich, Rosetta Cucchi, Walter Spelgatti, Diego Veneziano. Si occupa di storia del teatro e drammaturgia con Carla Bino, Carlo Susa e Claudio Bernardi e di teatro sociale con Giulia Innocenti Malini. Si laurea in Storia del Teatro con una tesi dal titolo Macbeth, il suo destino, il libero arbitrio. Fonda la compagnia il ServoMuto con Pavel Zelinskiy e Diego Veneziano e inizia a produrre i primi spettacoli teatrali, occupandosi anche attivamente di drammaturgia a regia. È assistente alla regia per lo spettacolo Le folli stagioni di Luca Micheletti per il CTB. Viene selezionato da Claudio Longhi per un progetto di alta formazione di ERT indirizzato ad attori, registi e drammaturghi. Lavora quindi con Claudio Longhi, Giacomo Pedini, Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Olimpia Greco, Lino Guanciale, Diana Manea, Simone Tangolo. Collabora con le compagnie milanesi Elea Teatro/Industria Scenica e Teatro Ma. Ad aprile il progetto artistico “FAR EAST – Western Urbano a Sanpolino”, promosso da il ServoMuto/Teatro, Centopercento Teatro e EleaTeatro/Industria Scenica, vince il Bando SPOTbs – Sostegno alla Produzione Teatrale Off di Brescia.