sabato 7 febbraio 2015

ZINNFIGUR


Premessa dell'autore

Quello che segue è un testo teatrale. Pensato, programmato e scritto per la scena. Non solo. Il testo che segue è scritto in forma di monologo, forse il genere teatrale più complicato da scrivere, dirigere e intepretare. O perlomeno, è il più complicato per il sottoscritto.
Il bravo attore, come in una prova di abilità, entra ed esce continuamente dalle scene, dai momenti di narrazione e dai personaggi. Toccherà quindi in buona parte all'attore (e non meno al regista) dare ai vari momenti, alle varie bolle spazio-temporali la consistenza, la diversità e la caratterizzazione necessaria.
Quanto ai personaggi, essi in buona parte si presentano autonomamente al pubblico, quindi eviterò di elencarli all'inizio come si usa di solito.
Per questa ragione alcuni passaggi del testo potranno risultare macchinosi al lettore, a tratti perfino oscuri, al netto delle scelte registiche della messa in scena, che peraltro permette di fare su un testo teatrale ogni tipo di modifica necessaria a rendere i suddetti passaggi leggibili per il pubblico.
Ho provveduto in ogni caso all'inserimento di note e didascalie, cercando di non esagerare nelle spiegazioni; di lasciare cioè la possibilità al lettore di muoversi negli spazi del sottotesto e di formulare un'idea non univoca della possibile messa in scena.

 Un attore. Alcuni oggetti sparsi sul pacoscenico, appoggiati a sedie, spioventi dal soffitto, posti per terra. Un giaccone militare, la cui fodera interna sia di colore chiaro, poi vedremo perché.
Lo spettacolo si apre con la musica di Shostakovich – Piano Concerto n.2 Op.102, I. Allegro.

 
IL SOLDATO AUSTRIACO

  

C'erano una volta venticinque soldatini, tutti fratelli, perchè tutti fusi fuor dallo stesso vecchio cucchiaio di stagno.

Avevano il fucile con la baionetta in ispalla, la divisa rossa e turchina, proprio bella, e tutti guardavano diritto dinanzi a sè. La prima cosa che udirono al mondo, quando fu tolto il coperchio della scatola, fu il grido: «Soldatini di stagno!» Chi aveva gridato così, battendo le mani, era un ragazzo, e i soldatini gli erano stati regalati per Natale.

Egli li mise tutti sulla tavola: ogni soldato era identico agli altri; soltanto, per quello che era stato fuso per ultimo, non era rimasto stagno abbastanza, e così gli era venuta una gamba sola; ma egli stava altrettanto saldo sull'unica gamba, quanto gli altri, che ne avevano due; e fu appunto questo soldatino che si distinse.

 
Mi chiamo Hans Bauer, sono un soldato austriaco.

Sulla tavola, sulla quale si trovavano, c'erano molti altri balocchi; ma quello che più attirava lo sguardo era un grazioso castello di cartone.

I miei genitori si chiamano Willem e Clara.

Dinanzi al castello, certi alberelli erano piantati attorno ad un pezzettino di specchio, che doveva raffigurare un limpido lago; e sul lago nuotavano specchiandosi alcuni piccoli cigni di cera.

Ho amato una sola ragazza, si chiama Sophie.

Tutto questo era molto bello; il più bello di tutto, però, era una piccola signora, ritta vicino al portone aperto del castello; anch'essa di cartone, ma con un vestito di velo leggerissimo, ed un sottile nastrino azzurro sulle spalle.

Ho 22 anni.

Arrotondava con grazia le braccia al di sopra del capo, perchè era una ballerina, e teneva un piede così alto, per aria, che il soldato, non vedendolo, credette che anche lei avesse una gamba sola.

Mi chiamo Hans Bauer. Io sono quello che muore.

 
Nuova traccia musicale. Personalmente, in teatro amo molto il contrasto stridente che si può creare con tra l'atmosfera di una scena che sta per venire o è appena stata, con una musica di tutt'altro clima. Come vedere un clown che piange. La mia scelta è ricaduta su Perfect Day, di Lou Reed.

 Sono schierato in posizione di difesa, in trincea, dall'inizio di quest'anno che dura da quindici giorni. Mentre lascio la posizione per aiutare un compagno ferito, una pallottola forgiata in stagno mi trafigge qui, qualche centimetro sopra il cuore ed esce dall'altra parte. La mia agonia dura un paio di minuti.

 IL SOLDATO ITALIANO

Segue un dialogo. Si rende chiaramente necessaria una trovata registica che permetta all'attore in scena di intepretare contemporaneamente due personaggi, e abbastanza semplice da essere intuitiva per il pubblico e non far crollare il ritmo dello spettacolo. Un cambio di fronte può essere efficace, oppure indossare e levare un cappello, indossare la giacca militare a mezza spalla, come naturalmente sfruttare diverse capacità vocali.

 
(Fischietto) Soldati fuori dalle buche! (fischietto) Fuori dalle buche! (fischietto)

Domani attraversiamo il Vallone incontro agli austriaci e andiamo fino in cima a quota 2.105, teniamo la posizione e aspettiamo i rinforzi, armi pronte, munizioni e granate per ogni uomo! Attenti alle tane delle mitragliatrici, niente corse brevi! L'ultima volta hanno usato anche i gas e i lanciafiamme per domani prevedono vento contrario, quindi dovremmo essere protetti almeno finche non siamo a distanza ravvicinata.
Attacchiamo appena finisce il bombardamento, risaliamo il crinale, tagliamo i reticolati e poi fino a destinazione: se vedo qualcuno tornare indietro, fermarsi o abbandonare il proprio posto, giuro sul Re e suoi Savoia che se non gli sparo io lo faccio fucilare appena rimette piede al campo!
Soldato!

Hai portato la scatola di medicazione?

-       Signorsì signore, la porto con me nello zaino.

-       Tirala fuori!

-       Signorsì.

-       Aprila. (si rovescia tutto il contenuto)

-       Signorsì.

-       Cosa contiene?

-       Garze...bende, signore.

-       Quante sono?

-       Dieci, mi sembrano dieci.

-       C'è dell'altro??

-       Una fiala.

-       Tintura di iodio! Memorizzate questo nome! Ora prendi le istruzioni contenute! Decalogo del soldato ferito, del professor Gustavo Lusena di Genova. Facciamo un bel ripasso per tutti, ad alta voce!

-       Uno...non toc..toccare mai la fe..rita né con le dita, né col faz..z...zoletto.

-       Soldato, non sai leggere? Qual'è il tuo reparto?

-       Signore, non so leggere bene, signore, pochi anni a scuola, troppo pochi...stavo ai rifornimenti fino a tre giorni fa, poi mancavano uomini nella buche e mi han messo in trin...

-       C'è scritto regola numero uno: Non toccare mai la ferita né con le dita, né col fazzoletto, né con altro oggetto che non sta nel pacchetto di medicazione! Regola numero due!

-       Due...Copri al più pre..presto con la garza. Tre..non lavare mai la f..ferita né con acqua né con soluz...zioni che puoi credere disin...disinfettanti. Quattro. Se possiedi tintura di Iodio, applicala intorno alla ferita.

-       Regola numero Cinque! Se siete feriti al ventre, non si beve e non si mangia! Continua!

-       Sei...se hai una ferita anche lie..ve al capo, và subito a farti medi...care al posto di medicazione.

-       Ricordate che le ferite alla testa sono le più pericolose: andate, subito, al posto di medicazione senza pensarci due volte! Regola numer sette...se la ferita butta sangue, fasciatela. Quando vi fasciate, non fasciate troppo stretto fino a far diventare tutto gonfio, o farete solo un grosso favore al nemico e alora tanto valeva che vi sparasse un po' meglio! Otto!

-       Otto...se malgr..magr...malgrado...se malgrado la fasciatura il sangue continua a scorrere...

-       Regola numero otto, nove e dieci: a parte usare le garze e la tintura, se siete feriti non provate a fare un cazzo di niente! Andate di corsa dall'ufficiale medico e non provate ad improvvisarvi chirurghi! Imparate queste istruzioni, fatevele leggere da un compagno imparatele in dialetto, non mi importa, ma dovete saperle! Soldato! Riprenditi la tua scatola!Soldati, rientrate nelle buche! Restate al coperto e aspettate gli ordini! (fischietto)

 (rimettendo garze e istruzioni nella scatola)

 
Venuta la sera, tutti i soldatini di stagno furono riposti di nuovo nella loro scatola, e quelli di casa andarono a letto. Allora i giocattoli incominciarono a giocare per conto loro: un po' facevano è arrivato l'ambasciatore, un po' il lupo e le pecore, o la festa da ballo. I soldatini strepitavano chiusi e ammassati dentro alla scatola, perchè sentivano i suoni di fuori e avrebbero voluto unirsi anch'essi al gioco, ma non riuscivano a sollevare il coperchio.

 

Mi chiamo Andrea Speretti, sono un soldato italiano. I miei genitori si chiamano Antonio e Maria.  Ho 19 anni. Facevo il cacciatore, prima. Non so leggere bene, ma so sparare bene.
Ricordo tutti i movimenti. Fucile Carcano, Modello 1891, fabbricazione italiana.
3,16 kg, 92 cm, munizioni 6,5x52 mm, 660 m/s.
Ogni azione di caricamento pronunciata corrisponde a un movimento in sequenza dell'attore.
Manubrio. Ruoto, 90°. Disimpegno le scanalature della culatta, estraggo il bossolo spento. La molla dell'elevatore del caricatore spinge in alto i proiettili rimasti. Otturatore, avanti. Incamero una nuova cartuccia. Il cane rimane in posizione. Otturatore, ruoto in senso inverso e chiudo. Non occorre altro: Sono pronto al fuoco. Sono pronto al fuoco. Sono pronto al fuoco. Mario Speretti, pronto al fuoco.
Ta pum/ ta pum/ ta pum.

Canto. Per il clima creato fin qui e la durezza delle parole pronunciate, una versione sussurrata, dal sentore quasi consolatorio trovo sia molto più indicata della versione “a coro” che la famosa canzone alpina prevederebbe.

 
Venti giorni sull’Ortigara

senza il cambio per dismontà;

ta pum ta pum ta pum (due volte)

 Ho sparato al mio primo nemico mentre correva verso una mitragliatrice

 
Quando poi ti discendi al piano

battaglione non hai più soldà;

ta pum ta pum ta pum (due volte)

 

Ne ho colpito un altro che si era affacciato dalla buca con troppo entusiasmo

 
Quando sei dietro a quel muretto

soldatino non puoi più parlà

ta pum ta pum ta pum (due volte)
 

Loro hanno usato gas e lanciafiamme, la montagna ha cambiato colore

 
Ho lasciato la mamma mia

l'ho lasciata per fare il soldà;

ta pum ta pum ta pum (due volte)

 

Ne ho colpito ancora uno che si era alzato a lanciare una granata

 

Dietro al ponte c'è un cimitero

cimitero di noi soldà;

ta pum ta pum ta pum (due volte)

 

Ho sparato finchè le dita non mi hanno fatto male.

 

Cimitero di noi soldati

forse un giorno ti vengo a trovar;

ta pum ta pum ta pum (due volte)

 

Ta pum/ta pum/ta pum!

 

Avevo 12 anni. Avevamo un cane, ma non gli avevamo dato un nome. Non si usa, quando di animali ne hai tanti. Saliva con me, in montagna, quando andavamo a caccia. Era un bravo cane, un buon animale. Un giorno di febbraio con la neve e il sentiero ghiacciato a tratti, il cane finì per scivolare rischiando di cadere in un dirupo. Sarebbe di certo morto se non lo avessi afferrato per il collare e tirato verso di me. Ma sarebbe stato meglio così.
Non gli avevamo dato un nome. Tirato per il collare e spaventato dallo scivolone, il cane credette che stessi cercando di strozzarlo. Mi saltò addosso e cercò di mordermi, per la prima volta. Non ci misi molto a capire. Non era più lo stesso cane. La paura di morire trasforma gli animali in bestie. Nemmeno a casa era lo stesso. Morse mio padre e anche mia madre.
Lo portiamo fuori in cortile. Io ho in mano il fucile. Il cane resta in posizione, ringhiando. Il suo sguardo è solo odio e nulla più. Sparagli. Sento ancora la voce di mio padre nella testa: sparagli. Sparagli.

SPARA! Quello ha lasciato la sua posizione per aiutare un ferito. SPARAGLI! La gamba destra è tranciata sopra il ginocchio, quello tira, tira, tira e trascina verso la trincea, trascina e tu SPARA, MALEDIZIONE, SPARAGLI! Ma sta aiutando un compagno, non sparo sui soccorsi, non sparo sui soccorsi...SPARA! O TORNANO INSIEME NELLA BUCA E TI SPARERANNO IN DUE! Non ha nemmeno portato il fucile con sé, lo lascio fare, gli sparo appena è rientrato. SPARAGLI ORA!
Stiamo perdendo la cima ormai... SPARA E SALVA I TUOI UOMINI, SPARAGLI! Il moncone di lui vibra e strappa come un corpo a sé. SPARA! Non ce la faccio. SPARA! Lo lascio andare SPARA! Mi sta scappando SPARA, MALEDIZIONE, SPARA! ORA!

 (In sequenza rapida i movimenti: manubrio, culatta, caricatore, otturatore, fuoco)

Non so leggere bene, ma so sparare bene.
Quello cade a terra di schiena per il colpo, urlando. Rotola verso il basso fino a fermarsi a testa in giù, contro una roccia, in una posizione contorta. Urla per almeno due minuti, poi smette e non si rialza più. Nessuno esce più dalle buche per aiutarlo.
 

Quando venne il mattino e i fanciulli si alzarono, il soldatino di stagno fu posato sul davanzale della finestra, la finestra si spalancò a un tratto, e il soldatino precipitò dal terzo piano a capofitto nel vuoto. Tese l'unica gamba all'aria, e rimase a baionetta verso i basso, con l'elmo fitto tra le pietre del selciato. I fanciulli corsero subito giù a cercare il soldatino; gli andarono così vicino che quasi lo pestavano, eppure non riuscirono a vederlo.

Se il soldatino avesse gridato, l'avrebbero subito raccattato; ma, essendo in divisa, non gli parve decoroso mettersi a gridare.

 

Una musica può facilitare qui il cambio di situazione. In virtù di quanto spiegato precedentemente, e volendo tenere un fil rouge nell'intero spettacolo, ho scelto un'altra canzone di Reed, dal significativo titolo di The Gun. Qui c'è forse il passaggio meno chiaro al lettore, se non spiegato come sto per fare: L'assalto alla collina 2.105 è fallito, il battaglione torna nelle trincee e i comandanti decidono di operare una decimazione per punire la truppa del fallimento imputato alla loro codardia. Si tratta di una pagina tristemente nota della storia militare italiana. I soldati a turno sono portati ad estrarre una pagliuzza -un bastoncino, un fiammifero- da un qualche tipo di contenitore in cui se ne trovano dieci: nove sono di lunghezza normale, una sola è corta, o di un colore diverso. Chi pesca quella diversa, indipendentemente dai suoi meriti o demeriti, verrà fucilato come esempio. Tutte queste cose non sono dette; vanno quindi mostrate.

 
Signore, mi ascolti, la prego io ho combattuto. Non sono stato io a ritirarmi, io sono rimasto in prima linea ho sparato tra la roccia il fango che entra nelle scarpe il fumo che ti acceca il filo spinato che ti strappa la carne io c'ero non mi sono mosso. Non mi merito questa punzione nessuno del battaglione si merita questa punizione signore sono un buon soldato, un soldato italiano, non fucilatemi ora qui senza nemmeno pensarci. Chi vi ha dato l'ordine?
Se abbiamo perduto la posizione è colpa nostra ma provi lei a combattere tra le bombe e le raffiche qui dal basso verso l'alto e poi mi dice se non fa mai un passo indietro ma sempre in avanti, perchè io l'ho fatto e adesso l'attacco è fallito avete contato fino a dieci fatto un'estrazione e quello che dev'essere fucilato sono io? Sono io?
Non portatemi contro quel muro, non dovete farlo nessuno poi lo saprà se non lo fate, perché volete ucciderci voi quando ci sono già i nemici?!


Non sei che una croce

Nessuno forse sa più

perchè sei sepolto lassù

nel camposanto sperduto
sull'Alpe, soldato caduto.

Nessuno sa più chi tu sia

soldato di fanteria.

coperto di erbe e di terra,

vestito del saio di guerra.

l'elmetto sulle ventitré

nessuno ricorda perché

posata la vanga e il badile

portando a tracolla il fucile

salivi sull'Alpe, salivi

cantavi e di piombo morivi

ed altri morivano con te

ed ora sei tutto di Dio.

Il sole, la pioggia, l'oblio

t'han tolto anche il nome d'un fronte

non sei che una croce sul monte

che dura nei turbini e tace

custode di gloria e di pace.

 
Non dovete farlo, non potete farlo. Che dio vi aiuti, da domani. Ricordate il mio nome. Scrivetelo. Ripetetelo. Non voglio essere un soldato senza nome in una fossa comune. Che dio vi aiuti.

 
Il soldatino rimase muto e si contentò di tener l'arma ancora più salda.

Alcuni monelli lo trovarono e lo misero a navigare su una barchetta di carta in un rigagnolo. Lui rimaneva intrepido e non mutava colore; guardava sempre fisso davanti a sè e teneva il fucile in ispalla. La barchetta precipitò in un canale assai più grande; il povero soldatino si tenne ritto perchè nessuno potesse dire d'averlo nemmeno veduto batter palpebra.

Oramai, il pericolo era così vicino, che il soldatino non poteva più evitarlo. Già le nuvole si richiudevano sopra il suo capo. Pensò allora alla graziosa ballerina, che non avrebbe mai più riveduto e un ritornello gli tornò alla mente:

 

Soldato, dove vai? La morte incontrerai!

 

Una voce registrata accompagna il cambio scena. Quanto segue è una vera dichiarazione del generale Cadorna, che pure in altre occasioni si dice favorevole alla pratica della decimazione per motivare i soldati.

 

Chi punisce con la pena di morte si domandi sempre in coscienza, se tutto è stato fatto per parte sua, per migliorare moralmente e materialmente le condizioni dei suoi soldati, se, oltre a reprimere, egli ha saputo prevenire, se egli è stato a continuo contatto con l'animo delle truppe per comprenderne le aspirazioni, i bisogni, le depressioni, il bene e il male; se, in una parola, egli senta di dominare veramente le forze vive che gli sono affidate, con quella scienza del cuore umano senza la quale nessuno è mai condottiero.

 

Generale Luigi Cadorna

 

LA DONNA ITALIANA

 

Un altro cambio, forse il più difficile. Il bravo attore di cui sopra dovrà evitare di cadere nei facili stereotipi femminili e nella caratterizzazione (vocale soprattutto) ridicola e inopportuna. Annodare la giacca in vita come fosse una gonna è già un segno estremamente chiaro di un cambio drastico. La donna ha un secchio, come vedermo più avanti.

 

Gli uomini partono e vanno a morire in battaglia, alle donne rimaste sole tocca il duro compito di gestire la guerra nelle retrovie. Si occupano dei lavori maschili nei campi e in fabbrica: spruzzano l’anticrittogamico nei campi, provvedono alla vendemmia e alla raccolta delle mele.

Puliscono camini, producono munizioni, conducono locomotive, fanno le vigili del fuoco; inoltre si devono preoccupare dei membri della famiglia rimasti a casa, bambini e vecchi.

 

L’unico sistema per raggiungere la prima linea del fronte, in alta montagna, è il trasporto a spalla, nelle ceste e nei secchi, seguendo sentieri e mulattiere. Ma per effettuare questi trasporti non si possono sottrarre militari alla prima linea senza danneggiare...la guerra, allora l'esercito chiede aiuto alla popolazione. Io già lavoro in una fabbrica che produce munizioni, il mio compito è pensare alle confezioni, ma per qualche moneta in più mi occupo anche del trasporto fino in quota. Ho sempre fatto avanti e indietro.

 

A 7 anni andavo al pozzo tutte le mattine e tutte le sere a prendere l'acqua per la casa. Un secchio alla volta, calavo la corda e tiravo su. Ogni mattina. Ogni sera. Un giorno ho legato male il secchio al gancio della corda, e quando ho fatto per recuperare, ho perduto il secchio. Andavo al pozzo ogni sera e ogni mattina. Ho sbattuto la schiena per terra dal contraccolpo, quando il nodo ha ceduto e a corda si è strappata. Una volta a casa senza acqua e senza secchio, mia madre ha preso una verga e mi ha fustigato. Colpiva la schiena là dove io avevo battuto. Però non ho pianto.

 

Ho consegnato tre giorni fa una cassa di munizioni alla prima linea mentre i cannoni tuonavano contro la montagna. Cesta sulla schiena, mani strette sulle corde. I passi scalfiscono il ghiaccio, la corda solca la neve, il respiro a tratti si affanna. Ho camminato un giorno e mezzo. Ho visto, i cadaveri in fondo a vallone. Ma ho finto di non vederli.

Ho consegnato le casse di munizioni a un ragazzotto dei rifornimenti. Sapeva leggere anche peggio di me, c'abbiamo impiegato venti minuti a leggere il bollo di spedizione. Munizioni 6,5x52 mm, piombo e stagno.

Lui ha firmato e io ho ripreso il mio viaggio all'indietro. Oggi mi hanno detto che è morto. Tre giorni fa gli ho consegnato munizioni in stagno. Oggi mi hanno detto che è morto.

 

Adesso dovrei presentarmi dicendo il nome dei miei genitori e dicendo quanti anni ho.

Ma scusate, ho troppe cose da fare, oggi.

 

Nuova traccia musicale, per l'ultimo cambio e l'ultimo personaggio (o meglio, coppia di pesonaggi). In questo caso, senza lasciare del tutto Lou Reed, ho optato per Heroin, dei Velvet Undergound.

 

La carta si lacerò ed il soldato cadde di sotto; ma proprio in quel momento, un grosso pesce lo inghiottì. Allora sì, che si trovò al buio davvero! Si stava ben peggio lì che nella barchetta, e pigiati poi... Ma il soldato rimase imperterrito, e, anche così lungo disteso, mantenne pur sempre il fucile in spalla.

Il pesce non si chetava un momento: correva qua e là con certi guizzi terribili; alla fine, si fermò e parve traversato come da un baleno: e allora qualcuno gridò forte: «Oh! il soldato di stagno!» Il pesce era stato pescato, e poi portato al mercato e venduto, ed era capitato in cucina, dove la cuoca gli aveva aperto la pancia sventrandolo con un grande coltello affilato.

Allora la cuoca prese il soldato con due dita a traverso il corpo e lo portò in salotto dove tutti vollero vedere quest'uomo meraviglioso, che aveva viaggiato nel ventre d'un pesce.

 

 

IL VOLONTARIO RESPINTO

 

Ultimo cambio. Siamo lontani dai racconti relativi al fronte di un attimo fa, ma comunque collegati ad essi. Occorre porre di nuovo attenzione al modo in cui questo cambio possa risultare fruibile per il pubblico. Siamo in un ospedale. La luce può aiutare, intanto perché verrà citata molto nel dialogo che segue. Si renderebbe teoricamente necessario un camice, o un segno forte che chiarisca la nuova situazione. Indossare la giacca militare al contrario, ad esempio, di modo da mostrare la fodera interna bianca, è una trovata efficace e che trafigura molto il corpo dell'attore, rendendo credibile il cambio di situazione.

 

 

-       Si faccia avanti, non rimanga sulla porta.

La sala dell'ufficiale medico è bianca. Mattonelle bianche alle pareti, bianco il soffitto, bianco il pavimento. Luce, bianca.

-       Si faccia avanti, ho detto.

-       Mi hanno mandato qui per la visita.

-       La visita medica.

-       La visita medica.

-       Altra carne. Arruolamento forzato?

-       Volontario.

-       Perché?

-       Servizio alla patria.

-       Anni?

-       Ventotto.

-       Vecchio. Quante volte l'hanno già scartata?

-       Quattro.

-       Non lo capirò mai perché siete in tanti a voler andare in quell'inferno. Siete tutti impazienti all'inizio. Poi vi accorgete di com'è davvero e cambiate idea. Si faccia avanti.

-       La luce e tutto questo bianco...mi da fastidio.

L'ufficiale medico si avvicina alla luce. Ha una gamba sola. Si infila i guanti, poi ignora il resto del corpo ma ispeziona la bocca in maniera meticolosa.

(ispezione della bocca)

-       Mancano dei denti. Un bel po' di denti. Ha la gola infiammata e le ghiandole gonfie. (ispezione degli occhi) Anche gli occhi sono rossi.

-       Ho dormito poco.

-       No, lei beve. E beve dalla mattina.

-       Solo oggi.

-       Non è vero. Sa cosa le fanno se la trovano ubriaco al fronte?

-       Posso fare la mia parte.

-       No invece no. All'esercito non servono soldati così. Ce ne sono già fin troppi. Lei è respinto.

L'ufficiale medico si allontana, girando le spalle. Esce dalla luce.

-       No la prego.

-       Le sto salvando la vita.

-       Mi sta destinando all'infamia! Questa è la mia prima guerra...

-       Questa guerra non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente.

-       Tutti devono contribuire!

-       Contribuisca allora. Torni a casa, raduni gli oggetti di metallo di cui puoi fare a meno,  consegnali agli ufficiali di guerra. Piombo, acciaio, stagno. Tutto viene fuso e trasformato in elmetti, coltelli e palottole. Soprattutto pallottole. Lasci stare l'esercito, tanto presto smetteranno di combattere anche loro.

-       Non possiamo smettere noi soli. Se no viene qualche cosa di peggio che la guerra.

-       Peggio della guerra non c'è niente.

-       Sì, la disfatta.

      L'ufficiale medico rimane in silenzio, forse ci sta pensando.

-       Non mi pare. Disfatta vuol dire che si va tutti a casa.

-       Signore, lei non capisce cosa vuol dire un'invasione, se no ne avrebbe paura.

-       Non c'è niente di peggio che la guerra. Voi che scalpitate per il fronte non potete capire. E non la si vince mai, la guerra, con le vittorie. Bisogna che gli austriaci smettano di combattere. O da una parte o dall'altra bisogna smettere di combattere. E perché allora non smettere noi? Lasciamo che vengano in Italia. Poi si stancano e se ne vanno. Hanno un paese anche loro.

-       Vigliacco! Quelli come lei ci faranno perdere la guerra!

Schiaffo. L'ufficiale medico guarda per terra. Il suo sguardo è vuoto.

-       Se ne vada. Lei è respinto.

La porta stride aprendosi. L'ufficiale medico non si muove.

Luce, bianca. Fastidio agli occhi.

 

Non sono nessuno, non sono niente, nemmeno un uomo. Non chiedetemi il nome.

 

Il soldatino di stagno aprì gli occhi lentamente, abituandosi alla luce. Non poteva crederci. Si trovò nello stesso identico salotto di dov'era partito, si vide attorno gli stessi bambini, e vide sulla tavola, tra gli stessi balocchi, lo splendido castello con la bella ballerina, che se ne stava sempre ritta sulla punta di un piede ed alzava l'altro per aria, intrepida anche lei. Il nostro soldatino ne fu tanto commosso, che avrebbe pianto lacrime di stagno, se non gli fosse parso vergogna. Egli la guardò, ed essa guardò lui, ma non si dissero nulla.

 

SOLDATO AUSTRIACO

 

Mi chiamo Hans Bauer e sono un soldato austriaco. Vi racconto una storia.

Un uomo torna a casa sconfitto trascinando i piedi perché la guerra non è cosa per lui. Non dice una parola a nessuno. Apre i cassetti delle credenze, svuota la cantina e le mensole. Recupera alcune posate che non usa da anni, vecchie monete di nazioni che non esistono più, pezzi di una vecchia stufa, recipienti in bronzo e stagno, i soldatini con cui giocava quando era ragazzo. Consegna tutto agli ufficiali di guerra. Strette di mano. Ne ottiene un grande elogio.

I suoi oggetti vengono smistati per metallo, fusi e colati. Diventeranno cannoni, diventeranno spade e coltelli, diventeranno pallottole, 6,5x52 mm.

Una donna in fabbrica richiude una ad una con le prprie mani le confezioni di munizioni e le carica sulla propria cesta. La sua schiena porta ancora i segni delle sferzate subite da bambina.

Un soldato in prima linea estrae i proiettili dalla confezione, li inserisce a mano nel caricatore, e pensa al suo cane. Manubrio, culatta, caricatore, otturatore, fuoco.

Un lampo e un po' di fumo.

A diversi metri di distanza, io sono colpito a morte.

È quel silenzio, che non scordo.

Non rivedrò mai più la mia città, non rivedrò più i miei genitori.

Non rivedrò più la mia Sophie.

 

 

Per un'idea di circolarità (e ripetitività) degli eventi che lo spettacolo in buona sostanza suggerisce, non trovo fuoriluogo chiudere, come si è aperto, con gli ultimi movimenti di Shostakovich – Piano Concerto n.2 Op.102, I. Allegro.

 

 

A un tratto, uno dei bambini più piccini afferrò il soldato e lo gettò nella stufa, così, proprio senza un perchè al mondo.

Il soldatino si trovò tutto illuminato e sentì un terribile calore: egli stesso non riusciva a distinguere se fosse il fuoco vero e proprio, o l'immenso, ardente suo amore. Non gli era rimasto più un briciolo di colore: fosse poi conseguenza del viaggio o delle emozioni nessuno avrebbe potuto dire.

La ballerina lo guardava ed egli guardava lei; e si sentiva struggere, ma rimaneva imperterrito, col fucile in ispalla. In quella, una porta si spalancò; il vento investì la signorina, ed essa, volando come una farfalla, andò proprio difilata nel caminetto presso il soldato: una vivida fiamma... e poi, più nulla.

Il soldato si strusse sino a diventare un mucchietto informe, e il giorno dopo, quando la domestica venne a portar via la cenere, lo trovò ridotto come un cuoricino di stagno.

 

 

FINE

 

 

 

Conclusioni

Ho accennato nella mia premessa al lavoro che, a mio parere, occorre facciano un bravo attore e un bravo regista su questo tipo di testo.

Ora, io il bravo attore l'ho avuto, e si chiama Pavel Zelinskiy.

Per chi ha avuto modo di leggere questo testo, spero sia stata una lettura piacevole; mentre chi ha avuto modo di vedere lo spettacolo di cui ho curato la regia, spero possa dire di aver assistito a una brava regia. ZINNFIGUR ha debuttato il 31 gennaio 2015 al Teatro Micheletti di Travagliato; concludo citando i nomi di tutte le persone e gli enti che hanno sostenuto la produzione dello spettacolo:

 

ZINNFIGUR

Una produzione Il ServoMuto/Teatro e A.N.A Brescia (Gruppo di Travagliato)

Con il patrocinio del Comune di Travagliato.

E con il sostegno del Comune di Borgosatollo.

Drammaturgia e regia Michele Segreto.

Con Pavel Zelinskiy.

Per le scenografie Diego Ossoli.

Si ringrazia il Comitato provinciale di coordinamento delle iniziative commemorative 1914-1918.
E Nahìa Associazione Culturale.
 
 
 
 
 
 
Michele Segreto
Si forma come attore nelle produzioni della compagnia Viandanze – culture e pratiche teatrali, poi con Silvio Castiglioni e Giorgia Penzo, Mariano Dammacco, Maurizio Camilli e Michela Lucenti (BallettoCivile), Marina Rossi, Giovanni Calcagno. Segue laboratori di regia con Giovanni Guerrieri (I Sacchi di Sabbia). Studia canto e voce con il maestro Filippo Cuscito. Lavora con Fausto Ghirardini, Maria Rita Simone, Elena Barbalich, Rosetta Cucchi, Walter Spelgatti, Diego Veneziano. Si occupa di storia del teatro e drammaturgia con Carla Bino, Carlo Susa e Claudio Bernardi e di teatro sociale con Giulia Innocenti Malini. Si laurea in Storia del Teatro con una tesi dal titolo Macbeth, il suo destino, il libero arbitrio. Fonda la compagnia il ServoMuto con Pavel Zelinskiy e Diego Veneziano e inizia a produrre i primi spettacoli teatrali, occupandosi anche attivamente di drammaturgia a regia. È assistente alla regia per lo spettacolo Le folli stagioni di Luca Micheletti per il CTB. Viene selezionato da Claudio Longhi per un progetto di alta formazione di ERT indirizzato ad attori, registi e drammaturghi. Lavora quindi con Claudio Longhi, Giacomo Pedini, Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Olimpia Greco, Lino Guanciale, Diana Manea, Simone Tangolo. Collabora con le compagnie milanesi Elea Teatro/Industria Scenica e Teatro Ma. Ad aprile il progetto artistico “FAR EAST – Western Urbano a Sanpolino”, promosso da il ServoMuto/Teatro, Centopercento Teatro e EleaTeatro/Industria Scenica, vince il Bando SPOTbs – Sostegno alla Produzione Teatrale Off di Brescia.