lunedì 18 luglio 2016

LA TRAGEDIA NAZIONALE. Lo strano rapporto tra gli italiani e l'informazione.


12 luglio 2016, Puglia, tratto Adria -Corato. Incidente ferroviario in cui perdono la vita almeno 23 persone, più di 50 i feriti. Sfido qualsiasi italiano residente in Italia ad ignorare la notizia di questo accadimento. Nessuno che non abbia visto una delle tantissime edizioni speciali dei telegiornali in cui sia stata trasmessa la notizia, o che non l’abbia ascoltata in radio, che non ne sia venuto a conoscenza sentendone parlare il vicino di casa, il fruttivendolo o la parrucchiera, o ancora che non abbia appreso la notizia da internet. Una tragedia, nessuno può negarlo. Hanno perso la vita moltissime persone, tra cui bambini, giovani, adulti, sul web si è parlato persino di un cane, morto dopo aver salvato il suo padrone. Onore a questo cane, che probabilmente non è mai esistito, ma che ha stretto i cuori di moltissimi lettori e frequentatori di social network, dove la notizia è stata divulgata e trattata in ogni sua sfaccettatura. Le vittime erano italiane. Italiani, è questo che è grave. È questo che colpisce. Ora, a tutti gli italiani stretti nel cordoglio per la perdita dei loro 23 connazionali, vorrei chiedere se sono a conoscenza della strage avvenuta solo due settimane prima dell’incidente ferroviario, strage in cui sono morte 36 persone, e che ne ha ferite 147. È avvenuta ad Istanbul, nell’aeroporto di Atatürk, per un attentato di matrice terroristica. È il decimo sanguinoso attentato avvenuto in Turchia quest’anno. È avvenuto a fine giugno. Dieci attentati in soli sei mesi, unicamente nel territorio turco. Passiamo in Iraq, a Baghdad. Nemmeno dieci giorni prima dell’incidente avvenuto in Puglia. Un attentato terroristico di matrice jihadista ha causato la morte di 130 persone, ferendone più di 200. Le vittime erano civili, famiglie, bambini, che passeggiavano per strada. Purtroppo l’elenco delle stragi che avvengono ogni mese è lunghissimo, e a chi ne vuole una prova basta semplicemente navigare su internet. La questione, però, è che queste notizie non vengono divulgate abbastanza dai telegiornali, dalle radio, dai quotidiani. Magari appaiono nei trafiletti in basso, non hanno una reale rilevanza. “I mass media sono pilotati” o “Ci fanno sapere solo quello che vogliono”, questi i maggiori commenti che sento in proposito su tale argomento. Forse questo è vero. Però le notizie ci sono, perché non andarle a cercare? Perché ci si accontenta di quello che ci viene detto dai telegiornali o dalle radio, pur sapendo che omettono molto? Perché di un attentato avvenuto in Iraq, con 130 morti e 200 feriti, si è appena accennato, mentre di un incidente ferroviario con 23 vittime si parla per giorni, settimane, e ne sono intasati tutti i social network?

La goccia che ha fatto traboccare il vaso (dell’indignazione) è stato leggere il post di un famoso youtuber (nonché scrittore ed attore) in cui scrive “Non si può morire così”, riferendosi all’incidente del 12 luglio. Vorrei chiedere a questo ragazzo in che modo reputa che si possa (o debba) morire. Probabilmente la sua intenzione (sua e di migliaia di altre persone che hanno pubblicato commenti simili) era quella di esprimere rammarico nei confronti della tragedia. Si. Ma perché il post è stato scritto in riferimento a questo incidente, e non a tutte le stragi precedenti? Perché in questo caso “non si può morire così”? Perché non scriverlo anche per tutte le vittime dei tantissimi attentati che avvengono ogni mese nel mondo? Il web pullula di persone che commentano la questione della causa dell’incidente ferroviario, se sia un errore umano o meno, affermando che “Non è giusto morire per una disattenzione”.  La domanda che vorrei porre loro è: per cosa è giusto morire? Quale causa di morte può essere socialmente accettata? È giusto morire in un aeroporto, in un mercato o in un ristorante, perché un folle si fa esplodere per il suo credo religioso (e non solo)? È giusto morire in guerra quando si è ancora un bambino e si imbraccia un’arma? È giusto morire in mare su un barcone, o in un container, fuggendo dalla guerra alla ricerca di un luogo sicuro che non verrà mai raggiunto?

Facciamo un salto nel passato, non così remoto. 24 marzo 2015, Francia. Il volo Germanwings 9525 si schianta sulle Alpi Provenzali. Centocinquanta vittime, nessun ferito. I titoli dei quotidiani, così come anche tutti i telegiornali, riportano la notizia così: “Disastro aereo. 150 vittime, di cui 2 italiani”. Qual è la necessità di far sapere che 2 delle 150 vittime fossero italiane? Che differenza fa? E invece la differenza c’è. L’impatto emotivo è maggiore, la notizia acquista più risonanza. Emerge il patriottismo, anzi, risorge. Nella tragedia sono morti 2 italiani, ed è subito lutto nazionale. Degli altri 148 morti poco importa. Improvvisamente l’Italia si unisce, gli italiani tornano a sentirsi parte di una nazione. Gli stessi italiani che fino al giorno prima se ne lamentavano, se ne vergognavano. Italia paese di mafia, di tasse spropositate, di disoccupazione, di corruzione. Si va all'estero per trovare lavoro. Si evade il fisco perché non ci si sente rappresentati dallo Stato e non se ne condivide la politica. Sono però gli stessi italiani che non accettano la morte di 23 connazionali a causa di un incidente ferroviario, ma che digeriscono benissimo la notizia di centinaia di vittime straniere. Anzi, vivono benissimo continuando ad ignorare questo genere di notizie.

Se è successo in Puglia, così vicino, poteva succedere anche a me, poteva esserci mio figlio su quel treno. Viaggio spesso, potevo morire io in quel modo. Sono queste le frasi che più si leggono nei commenti alla notizia; questi i pensieri, i meccanismi che scattano, che fanno arrabbiare, indignare o rammaricare. Gli attentati che avvengono in Turchia non possono colpirmi. Sul barcone di migranti non ci sarà mai mio figlio. Forse. Dunque il cordoglio nazionale è solo una sorta di paura egoistica? No. Le persone si rattristano realmente. Ovviamente, sono morte delle persone. Ma allora perché un bambino che muore su un treno in Puglia rattrista di più di un bimbo che muore dilaniato da una bomba esplosa a Baghdad?

Forse la domanda più giusta da porsi è: perché ascoltiamo queste notizie? Perché ascoltiamo i telegiornali, o leggiamo i quotidiani? Per essere informati su quanto accade nel mondo? Parrebbe questo il motivo più sensato. Ma non è poi tanto plausibile. Basta ascoltare i telegiornali per una settimana (forse anche meno) per rendersene conto. Il divorzio di una soubrette ruba subito la scena alla notizia di un attentato in Iraq, che diviene un misero trafiletto a fondo schermo (o pagina). Solo quello che accade in Europa, o ancor meglio in Italia, pare suscitare un certo interesse, al resto si preferisce il gossip.

Si ascoltano le notizie per essere aggiornati. Ci si illude di esserlo. Ci si indigna per la tragedia di cui ci informano. Si mette a tacere la coscienza scrivendo sui social network frasi come “Je suis Charlie” (anche se non si sa bene nemmeno cosa fosse questo “Charlie”). E si è pronti alla prossima notizia. Tanti si arrabbiano, tanti ne sono sconvolti. Poi la notizia passa in secondo piano, ce ne sono di nuove altrimenti ci si annoia, e non se ne parla più. Ed in men che non si dica pare sia stata eliminata non solo dai quotidiani, ma anche dalla memoria degli individui.

Ma delle notizie in sé ce ne facciamo poco se poi le dimentichiamo presto. Scrivere Je suis Charlie non riporta in vita le vittime dell’attentato. Adottare comportamenti che combattono ideologie religiose violente nemmeno, ma potrebbe però impedire che una strage simile si ripeta. Condividere fiocchi neri su Facebook non farà tornare le vittime dell’incidente ferroviario dalle loro famiglie, ma indagare le cause dell’incidente ed adottare politiche e strategie che possano prevenire altre stragi simili potrebbe essere un modo utile di reagire.

Le notizie e le informazioni sono un’arma potentissima, non dobbiamo dimenticarcene. Chi pensa che i mass media ci mettono a conoscenza solo di determinate informazioni non dovrebbe adattarsi a questo. Bisogna invece che si attivi per cercare lui stesso le informazioni. Cosa, al giorno d’oggi, molto semplice. Basta navigare un po' su internet e si può scoprire tutto quello che accade nel mondo, o quasi.

Quando in televisione si legge velocemente “Morte 130 persone in un attentato, ma fortunatamente nessun italiano è stato coinvolto dall’esplosione”, sarebbe opportuno indagare a fondo la notizia, e reagire. Non ci si può rattristare solo per i 23 connazionali morti nell’incidente del 12 luglio. Della nazione a cui appartengono poco importa. Bisogna tenere sempre presente che oltre che italiani, ed europei, noi siamo in primis parte della specie umana, e purtroppo di umani ne muoiono tantissimi, ogni giorno.


Bianca Rapini